1 GIORNO
VILLA MEDICEA LA PETRAIA
La Petraia è una delle più affascinanti ville medicee per la felice
collocazione nel paesaggio, per l’eccellenza delle decorazioni
pittoriche, per la rigogliosa natura del parco.
Dichiarata dall’UNESCO Patrimonio mondiale dell’Umanità nel 2013,
distante pochi chilometri da Firenze è la tipica residenza suburbana,
rifugio per i granduchi della famiglia Medici dalle fatiche della
città.
Un antico edificio fortificato, di cui resta ancora la grande torre, fu
ingrandito verso la fine del Cinquecento per realizzare l’attuale villa
e il terreno circostante fu sbancato per inquadrarla nel bellissimo
giardino a terrazze.
Il cortile della villa, coperto nell’Ottocento, è decorato con
affreschi del Volterrano e di Cosimo Daddi. La famosa scultura bronzea
del Giambologna raffigurante Venere-Fiorenza, che completava l’omonima
fontana posta anticamente nel giardino della villa di Castello, è ora
collocata all’interno per garantirne la conservazione.
La Villa si erge con la sua inconfondibile torre in posizione dominante
sulle pendici di Monte Morello degradanti verso la piana con splendida
vista su Firenze. Il lato sud si affaccia sul giardino formale che si
sviluppa su tre piani a terrazza sfruttando il pendio del sito: piano
dei parterres, piano del vivaio e piano della figurina. Nonostante le
modifiche apportate soprattutto nel XVIII e XIX secolo il giardino
mantiene ancora intatta la spazialità geometrica dell’originario
giardino cinquecentesco, che si deve a Ferdinando I dei Medici, così
come documentato nella lunetta dell’Utens, oggi conservata, insieme
alle altre tredici della serie, nella villa stessa. A nord invece si
estende per numerosi ettari il parco romantico realizzato
nell’Ottocento per volere di Leopoldo II di Lorena.
In una sala al piano terra è esposto anche lo splendido gruppo bronzeo
dell’Ammannati raffigurante Ercole e Anteo che coronava la fontana un
tempo nel Giardino di Castello, oggi sostituita da una copia.
Nel luglio del 2012 sono pervenute a Villa della Petraia le superstiti
14 lunette di Giusto Utens, raffiguranti le Ville medicee,
precedentemente in deposito presso il Museo di Firenze . Le
celebri tele, realizzate dall’artista fiammingo per un salone della
Villa di Artimino su commissione di Ferdinando I, terminato il restauro,
sono esposte in tre sale del piano terreno della Villa
nell’allestimento definitivo inaugurato l’11 maggio del 2014 in
occasione dei festeggiamenti per l’iscrizione nella lista del
patrimonio mondiale UNESCO.
2 GIORNO
CITTA’ DI AREZZO
Il tour comincia con la visita della basilica di San Domenico che
comprende la strepitosa croce dipinta di Cimabue per proseguire alla
scoperta del Duomo dedicato a S. Pietro e Donato che conserva le
luminose vetrate istoriate di G. de Marcillat, l’affresco raffigurante
la “Maddalena” di P. Della Francesca, la monumentale arca di S. Donato e la devozionale cappella dedicata alla Madonna del Conforto con le
robbiane ed opere neo-classiche di P. Benvenuti e L. Sabatelli.Dopo il
Duomo andiamo in Piazza della libertà per ammirare il trecentesco
palazzo dei Priori, oggi sede del comune di Arezzo, poi segue la visita
della Cappella Bacci – La leggenda della Vera Croce di Piero della
Francesca.
Consigliamo di visitare la casa museo I. Bruschi. Si tratta del museo che
conserva una importante collezione che va dal periodo etrusco fino ai
giorni nostri con una terrazza panoramica sulla pieve di S. Maria.
Visita del museo di Casa Vasari – gioiello manierista con opere,
affreschi e decorazioni effettuate dal famoso artista aretino,
protagonista del ‘500 toscano. Da casa Vasari non è lontana la chiesa
della Badia delle SS. Flora e Lucilla con opere di G. Vasari, Bartolomeo
Della Gatta, Andrea Pozzo e Segna di Bonaventura.
Da piazza della Badia si arriva in Corso Italia dove andiamo alla
scoperta dell’ antichissima Pieve di S. Maria Assunta per ammirarne la
facciata in stile pisano-lucchese, l’allegoria dei mesi e la torre delle
100 buche. Al suo interno si trova la cripta con il busto reliquiario in
oro e argento di San Donato. Dalla Pieve arriviamo in piazza grande,
simbolica piazza medievale caratterizzata dal palazzo della Fraternita
dei Laici che conserva ancora oggi una facciata tripartita col Cristo in
Pietà (copia da S. Aretino), la Madonna della Misericordia del
Rossellino ed il campanile a vela manierista con orologio astronomico
realizzato dal maestro Felice da Fossato nel 1552.
E’ la piazza dove si corre la giostra del Saracino e dove si svolge la
fiera antiquaria ogni prima domenica del mese e sabato che la precede,
chiusa sul lato nord dall’elegante loggia progettata da G. Vasari, uno
dei luoghi dove è stato girato il film oscar “La vita è bella”. Da via
dei Pileati dove si trova il maestoso palazzo Pretorio, passiamo da via
dell’orto, dove si trova la casa natale di F. Petrarca, sul punto più
alto della città, ubicata sul colle di S. Donato la possente fortezza
medicea.
3 GIORNO
CORTONA E L’EREMO DELLE CELLE
Il pullman arriva fino al Santuario di S. Margherita
da Cortona ubicato in un punto panoramico da dove si può ammirare il
lago Trasimeno e la verde Val di Chiana, suggestivo luogo di culto
dedicato alla Santa protettrice di Cortona. Dopo aver visitato il
santuario è possibile fare una passeggiata fino al centro passando
dall’antico quartiere di San Niccolò, tra vicoli casali in pietra ed
antiche porte di accesso si arriva fino a San Francesco dove è
possibile tra le altre opere, ammirare la bellissima Annunciazione di
Pietro da Cortona.
Da S. Francesco si giunge in piazza Signorelli, dove si trova l’omonimo
teatro ed il MAEC (museo dell’accademia etrusca di Cortona) .
Piazza del Duomo, visita della chiesa che conserva la natività di P. Da
Cortona e ritorno verso piazza della Repubblica dove si può ammirare la
facciata del palazzo comunale. Infine, attraverso via Nazionale (ruga
piana) si arriva fino a Piazza Garibaldi con un altro Belvedere sul lago
Trasimeno e la Val di chiana.
Il convento delle Celle è un edificio sacro che si trova in località Le Celle, nel comune di Cortona, in provincia di Arezzo.
L’insediamento francescano fu fondato nel 1211 dal santo stesso, che vi ritornò nel 1226 prima di morire, ed è stato profondamente restaurato nel 1969. Il complesso, costruito a cavallo di una stretta valle, è molto suggestivo per l’amenità e la spiritualità del luogo. Le abitazioni dei frati e i locali conventuali sono disposti “a gradoni” su entrambi i versanti della valle.La chiesetta duecentesca è esterna al complesso.Sulla destra è la cappella di San Felice da Cantalice, fatta erigere da Margherita Venuti, detta “la Papessa”, nel 1651; sull’altare, la Madonna che offre il Bambino a San Felice da Cantalice di Simone Pignoni.Nel refettorio, una Deposizione lignea di Giovanni da Rovezzano (1632).
4 GIORNO
SANSEPOLCRO, ANGHIARI E MONTERCHI( MADONNA DEL PARTO)
Sansepolcro domina l’Alta Valle del Tevere, che si apre in un vasto
anfiteatro montano e collinare, delimitato dall’Alpe della Luna, dalla
Massa Trabaria, dalle colline della vicina Umbria, dai monti
dell’Aretino e dell’Alpe di Catenaia. La tradizione attribuisce a
Sansepolcro un’origine mitica per opera di due Santi pellegrini,
Arcano ed Egidio che, di ritorno dalla Terra Santa, si fermarono in
questa valle dove, per un segno divino, decisero di restare e costruire
una piccola cappella per custodire le Sacre Reliquie che portavano con
loro da Gerusalemme.
VISITA DEL MUSEO CIVICO con particolare attenzione alle opere di Piero
Della Francesca – Il polittico della Misericordia, La Resurrezione, San
Ludovico e S. Giuliano e la Mostra “Il fascino della Prospettiva”. Dopo
il museo una passeggiata nel centro storico che ha conservato sino ai
giorni nostri i caratteri di un centro autentico ed interessante esempio
di città murata delimitata dalle cannoniere di Bernardo Buontalenti e
dalla pregevole Fortezza di Giuliano da Sangallo. Nel centro del borgo
si possono ammirare una serie di pregevoli palazzi medioevali e
rinascimentali, così come numerose chiese ricche di opere d’arte di
pregio come il Duomo e Sant’Antonio Abate con opere di Pietro Perugino,
Della Robbia, Bartolomeo Della Gatta, Raffaellino Del Colle e Luca
Signorelli.
CASA DI PIERO DELLA FRANCESCA – visita alla casa legata al maestro
biturgense ed alla famiglia di origine, un esempio di palazzo signorile
in 3 piani con supporti multimediali per farci rivivere l’epoca in cui
Piero visse ed operò. Sansepolcro è inoltre la città del Palio della
Balestra e dei Giochi di Bandiera: la seconda domenica di settembre
infatti i balestrieri rinnovano la sfida ai rivali di Gubbio in piazza
Torre di Berta, torre medioevale distrutta durante l’ultimo conflitto
mondiale che da il nome alla piazza centrale dove si svolge il Palio.
5 GIORNO
VILLA MEDICEA DI ARTIMINO E VILLA MEDICEA DI POGGIO A CAIANO
La Villa Medicea di Artimino, chiamata anche La Ferdinanda o Villa dei cento camini, si trova su un poggio dirimpetto a quello del piccolo paese medievale di Artimino, una frazione del comune di Carmignano (Prato). Oggi è sede di congressi, ricorrenze ed eventi speciali, al piano interrato era stato allestito il Museo archeologico comunale, recentemente trasferito nella nuova sede all’interno del borgo di Artimino. La villa fu costruita per desiderio del Granduca Ferdinando I de’ Medici. Filippo Baldinucci racconta che il granduca durante una delle frequenti battute di caccia sul Monte Albano, si fosse fermato proprio su questo poggio, in compagnia dell’ormai anziano architetto Bernardo Buontalenti, e colpito dalla suggestione del luogo, avesse espresso il desiderio di far costruire proprio in quel luogo una villa per sé e per la sua corte.La villa venne costruita in soli quattro anni, dal 1596 al 1600 ed è un capolavoro della maturità del celebre architetto; rappresenta una summa stilistica delle altre ville medicee e ne chiude la stagione, completando il sistema regionale delle tenute dei Medici. L’anziano architetto, ammalato di gotta, diresse i lavori da Firenze, a riposo nella sua casa in Via Maggio, mentre sul posto operarono i suoi collaboratori Santi Maiani e Gherardo Mechini.L’inconfondibile sagoma coronata dai numerosi camini e comignoli, domina la zona circostante come un bastione verso la gola nella quale l’Arno si serra contro il masso della Gonfolina. Senza la mediazione di un vero e proprio parco l’edificio si inserisce direttamente in un ambiente in parte boscato, in parte agricolo, imponendosi con la sua mole geometrica. Simbolicamente era il luogo per la percezione visiva dell’intero granducato, per questo Ferdinando commissionò al pittore fiammingo Giusto Utens una serie di 17 lunette con le ville medicee da collocare in un apposito salone detto appuntodelle Ville; disperse nel Novecento oggi sono riunite al Museo di Firenze com’era a Firenze, anche se tre sono perdute, mentre nella villa sono state in seguito sistemate delle copie. Attiguamente, nella sala detta delle Guerre, lo stesso pittore realizzò altrettante lunette con scene di battaglie, che sono completamente andate disperse.La villa era la favorita di Ferdinando per il periodo estivo e al piano nobile fu fatta decorare ad affresco da Domenico Passignano e Bernardino Poccetti con soggetti mitologici e allusivi alle virtù di Ferdinando: sono ancora visibili le decorazioni del salone centrale, degli appartamenti granducali, della loggia e dalla cappella. Esisteva poi un “guardaroba”, decorato da eccezionali dipinti come il Ritratto di Pietro Aretino di Tiziano, oggi presso la Galleria Palatina e il Bacco di Caravaggio, in mostra presso gli Uffizi.Per le attività venatorie granducali, fu creato il grande Barco reale, una enorme bandita, recitata da un alto muro per circa 50 km che aveva come punto di riferimento e baricentro, proprio la villa di Artimino.Nel 1782 la villa fu venduta dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena al marchese Lorenzo Bartolomei e in seguito passò per via ereditaria ai conti Passerini (1848); quindi fu venduta nel 1911 alla famiglia Maraini.Verso il 1930 vennero approntate alcune modifiche all’architettura della villa, costruendo un nuovo scalone e ristemando il giardino.Nell’autunno del 1944 la villa fu gravemente danneggiata dalle artiglierie militari, ma il restauro fu tempestivo e venne terminato già nella primavera del 1945.Nel frattempo si contarono altri passaggi di proprietà. Nel 1979 la famiglia Riva effettuò una vendita all’incanto che disperse gli arredi e i dipinti della villa. Oggi ospita un centro congressuale ed alberghiero. Tra il 1599 e il 1602 l’artista fiammingo Giusto Utens dipinse le 17 famose lunette delle ville medicee, che con precisione calligrafica e con una inconsueta prospettiva “a volo d’uccello”, decoravano la cosiddetta Sala delle Ville.Queste rappresentazioni, tutt’oggi celebri per il loro aspetto piuttosto fiabesco e idilliaco, erano un vero e proprio catalogo catastale con il quale il granduca controllava le sue proprietà principali sparse in tutta la Toscana, analogamente alle sale con le carte geografiche affrescate che si possono ammirare in molti palazzi di governo. Per i ricercatori moderni insostituibile è il loro valore di documento dell’epoca e rappresentano un punto di riferimento obbligato per qualsiasi studio sulle ville medicee.La sala era composta da tre lunette sulla parete frontale, sei su ciascuna parete laterale, e due sulla parete con l’ingresso, dove il portale occupava lo spazio di una lunetta. La loro rimozione risale probabilmente al periodo della vendita di Pietro Leopoldo (1782), e probabilmente vennero mantenute nelle collezioni granducali per il loro valore topografico. In quell’occasione tre andarono disperse (così come le 17 lunette dell’attigua Sala delle Guerre, mai più ritrovate), e dopo vari passaggi approdarono a una degna collocazione all’interno del Museo topografico di Firenze com’era a Firenze, in deposito permanente della soprintendenza.Rappresentano la Villa del Trebbio, di Cafaggiolo, di Castello, La Petraia, La Magia, Palazzo Pitti e Boboli, Lappeggi, Poggio a Caiano, Montevettolini, Seravezza, Marignolle, Collesalvetti, L’Ambrogiana e Pratolino.Ad Artimino vennero in seguito inserite delle copie e, verso i primi del Novecento, vennero arbitrariamente reintegrate con tre vedute riprese da stampe settecentesche non in prospettiva a volo d’uccello, con Careggi, Cerreto Guidi e Poggio Imperiale. Forse una lunetta rappresentava Artimino stessa.
La Villa medicea di Poggio a Caiano, chiamata anche Ambra, è una delle ville medicee più famose e si trova nel comune di Poggio a Caiano (PO). Oggi è di proprietà statale e ospita due nuclei museali: uno degli appartamenti storici (piano terra e primo piano) e il Museo della natura morta (secondo piano).La villa è forse il migliore esempio di architettura commissionata da Lorenzo il Magnifico, in questo caso a Giuliano da Sangallo verso il 1480. Non a caso si tratta di un edificio privato, in cui sono presenti elementi che fecero poi da modello per gli sviluppi futuri della tipologia delle ville: compenetrazione tra interno ed esterno mediante filtri come le logge, distribuzione simmetrica degli ambienti attorno a una salone centrale (spazio “centrifugo”), posizione dominante nel paesaggio, recupero consapevole di elementi architettonici classici.La villa medicea di Poggio a Caiano è il primo esempio di architettura rinascimentale che fonde la lezione dei classici (in particolare Vitruvio) con elementi caratteristici dell’architettura signorile rurale toscana e altre caratteristiche innovative. Evidente la lezione dell’Alberti, a partire dalla scelta del luogo su cui la villa sorge, fino a giungere alla simmetria e all’armonia delle proporzioni. L’introduzione di una basis villae (la piattaforma sorretta da archi su cui posa l’edificio) è ripresa invece da modelli classici come il tempio di Giove Anxur a Terracina.L’esterno della villa ha mantenuto abbastanza intatto l’originale progetto rinascimentale del Sangallo, se si eccettuano le due scalinate gemelle che conducono al terrazzo, erette nei primi anni dell’Ottocento in sostituzione di quelle originarie diritte e perpendicolari al corpo della villa, ben visibili nella nota lunetta di Giusto Utens. A progettarle, nel 1807, fu Pasquale Poccianti che ideò “una scala esterna con comodo di transito per le carrozze al coperto” (cioè con una loggia centrale abbastanza profonda da poter, al contrario del loggiato esistente, permettere l’accesso alle carrozze al riparo delle intemperie), realizzata poi negli anni seguenti da Giuseppe Cacialli. Anche il tetto è stato modificato, quando nel 1575 Alfonso Parigi sostituì la gronda, dove esisteva un camminamento e un coronamento con ringhiera con comignoli, con un aggetto del tetto più sporgente, ottenendo inoltre un rialzamento del prospetto che altera in modo rilevante le proporzioni del progetto iniziale del Sangallo. Furono modificate anche le finestre che inizialmente erano crociate, cioè spartite in quattro parti con una sorta di croce centrale in pietra, secondo un modello tardo-quattrocentesco inventato da Baccio d’Agnolo. Nel Seicento invece fu aggiunta la torretta con l’orologio, in asse con il frontone centrale originario.Il corpo dell’edificio è circondato da una terrazza porticata. Alla sommità delle scale si trova una loggia sormontata da un timpano e da una volta a botte finemente decorata a rilievo. Sulla parete destra della loggia si trova un decoro a fresco raffigurante il Sacrificio di Laocoonte di Filippino Lippi: dopo il restauro concluso nel 2014 dovrebbe essere esposta all’interno della villa.Il fregio in terracotta invetriata in tricromia (bianco, blu e verde) che si vede oggi sull’architrave del timpano sulla facciata principale della villa è una copia eseguita nel 1986 dalla manifattura Richard-Ginori, mentre l’originale si trova in una sala al primo piano della villa. Quest’opera è lunga 14 metri e 22, alta 58 centimetri e di attribuzione e datazione incerta. Principalmente viene ascritta ad Andrea Sansovino relativamente alla fase di costruzione di Lorenzo il Magnifico, alla quale rimanda il tema del ritorno all’Età dell’oro, oppure eseguito da Giuliano da Sangallo o da Bertoldo o ancora risalente a due fasi, la seconda delle quali terminata al tempo di Leone X.Il tema raffinato e emblematico potrebbe anche rappresentare la scelta delle anime secondo il mito platonico. In ogni caso è chiara la natura di espressione del complesso clima iniziatico, relativo al circolo filosofico di Lorenzo, attraverso una serie di figure allegoriche, di evocativo classicismoDa dietro alla scalinata, sotto al loggiato che circonda la villa, dove sono collocati quattro sarcofagi romani, si accede agli appartamenti al piano terreno. Questo piano nel Cinquecento era considerato ancora secondario rispetto al piano nobile, per cui la valorizzazione di questi ambienti risale per lo più ai secoli successivi, con l’esclusione degli appartamenti di Bianca Cappello.La sala d’ingresso è intonacata in un colore giallo chiaro e riporta alcune iscrizioni su Vittorio Emanuele II e sul plebiscito che unì la Toscana al nascente Regno d’Italia.Successivamente si entra nel “Teatro delle Commedie”, ideato prime del 1675 da Marguerite-Louise d’Orleans la sposa poco apprezzata di Cosimo III. Essa era di fatto relegata a Poggio a Caiano, e per alleviare la sua vita da reclusa pensò a far realizzare un teatro, del quale abbiamo la prima menzione nel 1697. L’uso del teatro divenne più frequente con il principe Fernando.Segue la sala dei Biliardi è in stile sabaudo, con la volta affrescata come un pergolato dal quale si affacciano putti e amorini, mentre su un drappo dipinto sono riportate le insegne reali dei Savoia.A destra si accede quindi agli appartamenti di Bianca Cappello, dove è possibile percepire più nitidamente che altrove l’aspetto rinascimentale della villa. Bianca Cappello era una nobildonna veneziana molto colta e raffinata, che ebbe una relazione con il Granduca Francesco I. Questa relazione segreta che coinvolgeva il sovrano della città, già sposato con Giovanna d’Austria e con una donna a sua volta già sposata, fu uno dei più grandi scandali del Rinascimento e una delle pagine più romanzesche della saga dei Medici: anche se i due amanti fecero di tutto per restare al coperto, la loro storia fu argomento di dicerie e maldicenze sin dall’inizio.A Poggio a Caiano la loro storia visse alcuni dei momenti più importanti, infatti qui venne relegata la donna, odiata dalla famiglia e la corte medicea tutta schierata con la sposa legittima, strategicamente allontanata da Firenze. All’inizio fu confinata in una villa secondaria sulle alture di Poggio a Caiano chiamata Il Cerretino, e in tale occasione nacquero alcune fantasie popolari, come l’esistenza di un corridoio sotterraneo tra le due ville che permettesse ai due amanti di incontrarsi segretamente. Con la morte del marito di Bianca e di Giovanna d’Austria i due amanti poterono finalmente sposarsi e trascorsero a Poggio a Caiano alcuni dei momenti più belli della loro vita coniugale. Gli appartamenti di Bianca Cappello al piano terreno ancora testimoniano questo legame con la villa. Nella villa i due trovarono anche fatalmente la morte nell’ottobre 1587, l’una a un giorno di distanza dall’altro: uno studio del 2004-2006 parla di intossicazione da arsenico nei tessuti dei due, anche se non è possibile capire se si tratti invece di un trattamento post-mortem su alcuni organi simbolicamenti sepolti assieme nella chiesa di Bonistallo. Le cronache ufficiali parlano comunque di febbre terzana.Nella prima sala di questi appartamenti, una semplice anticamera, sono ospitati tre dipinti a soggetto biblico attribuiti a Paolo Veronese: Mosè e il roveto ardente, il Passaggio del Mar Rosso e la Resurrezione di Lazzaro; qui è stata collocata dopo il restauro anche la Pietà di Giorgio Vasari, proveniente dalla cappella della villa che oggi appartiene alla locale Misericordia.Segue la “stanza del Camino” degli appartamenti di Bianca Cappello. La stanza, sebbene restaurata ecletticamente nell’Ottocento, conserva ancora il bel camino in marmo bianco, con il pianale sorretto da due telamoni scolpiti con notevole forza plastica. La paternità dell’opera non è ancora stata chiarita, ma l’ambito di realizzazione è sicuramente vicino a Bernardo Buontalenti, come si evince dalla poderosità dei torsi e dalle teste fantasiosamente corrucciate. Forse sono ascrivibili alla permanenza di Alfonso Parigi il Vecchio nella villa nel 1575, che era impegnato nello stesso periodo con il Buontalenti alla villa medicea di Cerreto Guidi.Una porta allo stesso livello conduce alla camera da letto della duchessa Bianca, rivestita di cartapesta pressata che imita i corami (pannelli in cuoio decorato) e mobili neorinascimentali, frutto di un completo rifacimenti in stile del 1865 circa (ambiente non visitabile).Lo scalone in pietra serena, coevo al camino, collega due aperture superiori nella stessa stanza, che mettono in comunicazione questi ambienti col livello superiore, dove oggi c’è la stanza di re Vittorio Emanuele II e dove un tempo si trovava probabilmente quella di Francesco I.Al primo piano si trova l’ambiente più interessante della Villa: il salone Leone X, posto al centro dell’edificio e terminato intorno al 1513. Secondo il Vasari la decorazione della volta appartiene solo in parte al Sangallo il resto sarebbe opera del Franciabigio e di Cosimo Feltrini. La decorazione ad affresco è uno dei cicli pittorici più importanti del periodo del manierismo.Sempre al primo piano è visitabile la sala d’ingresso (con pitture monocrome del primo ottocento, opera di Luigi Catani, riproducenti temi celebrativi che si riferiscono alla fondazione della Villa: le scene raffigurate sono Lorenzo il Magnifico che riceve il modello della villa da Giuliano da Sangallo e Agnolo Poliziano che incorona con l’alloro il busto di Omero.Sul soffitto della cosiddetta Sala da pranzo si trova un grande affresco, opera di Anton Domenico Gabbiani, raffigurante l’opera di pacificazione di Cosimo il Vecchio, padre della patria. Il dipinto risale al 1698 e fu commissionato dal principe Ferdinando de’ Medici. Questa sala era anche conosciuta come Salone degli stucchi, ma gli stucchi in questione, con ritratti dei Medici entro medaglioni e altre decorazioni, vennero asportati nel 1812 perché considerati troppo ridondanti. Solo in alcuni periodo dell’anno viene decorata la tavola con la carpita da tavola con disegni alla moresca ideati da Agnolo Bronzino tra il 1533 e il 1548, magnificamente intessuta con seta e filamenti di oro e argento.Completano il primo piano l’appartamento di Vittorio Emanuele II, con quattro stanze: Guardaroba, Studio, Sala da Ricevere e camera da letto, e quello della Contessa di Mirafiori (la “Bella Rosina”) composto da tre stanze con mobilio antico. La stanza della Bella Rosina in particolare è decorata con un letto a baldacchino e pareti interamente rivestiti di seta rosa con motivi floreali (1865), drappeggiata a raggiera in modo da lasciar vedere al centro un preesistente affresco neoclassico. Il bagno alla francese, opera dell’architetto di corte Giuseppe Cacialli, fu voluto da Elisa Bonaparte Baciocchi e comportò la demolizione di alcune stanze più antiche. Oggi si è ben conservato, con la vasca in marmo con intagli e una scultura di Venere e Amore in una nicchia, oltre al mobilio da toeletta originale. I due affreschi a tema mitologico raffigurano Achille immerso nel fiume Lete e Teti assiste alla partenza di Achille.Nel 1807 il Poccianti progettò, oltre alle scale esterne, lo scalone interno che collega il piano terreno ai restanti piani dell’edificio inoltre fu incaricato di alcuni lavori di restauro al piano superiore della Villa. Allo stesso periodo risalgono anche le pitture a affresco in alcuni salottini, di stile prettamente neoclassico, con soggetti tratti dalla mitologia antica.L’affresco più antico della villa, appartenente al periodo di Lorenzo il Magnifico, è il cosiddetto Sacrificio di Laocoonte (secondo l’interpretazione di Halm) di Filippino Lippi, conservato sotto la loggetta al primo piano, un tempo staccato per restauri e oggi ricollocato, sebbene sia piuttosto sbiadito dagli agenti atmosferici. L’affresco viene citato dal Vasari come Un sacrifizio, a fresco, in una loggia che rimase imperfetto e che risalirebbe a prima della morte di Lorenzo, o comunque completato entro il 1494. Non è da collegare con il Laocoonte dei Musei Vaticani, che tanta ammirazione riscosse nelle corti italiane, ma che fu ritrovato solo nel 1506.Il tema dominante della prima fase costruttiva era l’interpretazione dell’antico in chiave moderna e decorativa e questo affresco ne testimonia appieno il nocciolo, così come il fregio del timpano, forse di Andrea Sansovino e la prima lunetta decorata del salone poi detto di Leone X, quella di Pontormo.Realizzata tra il 1519 e il 1521, raffigura le divinità romane di Vertumno e Pomona inserite in un insolito paesaggio classicheggiante.In seguito il tema della decorazione cambiò, probabilmente a causa dell’arrivo nella casata dei primi titoli nobiliari di Lorenzo Duca d’Urbino e Giuliano Duca di Nemours, e divenne l’illustrazione delle glorie del casato mediceo, alle quali alludono chiaramente i temi ufficiali delle pitture, cioè i Fasti della storia romana.Tra il 1519 e il 1521 vi lavorò Andrea del Sarto, che dipinse il Tributo a Cesare, un’allusione ai doni ricevuti da Lorenzo il Magnifico dal Sultano d’Egitto nel 1487. L’affresco terminava circa a un terzo della superficie della parete, dove più vicino al muro esterno esisteva una grande colonna dipinta nel muro, che fu eliminata in seguito e l’affresco integrato da Alessandro Allori, che appose la sua firma con quella di Andrea del Sarto vicino al fanciullo con il tacchino in primo piano. Con il tempo era riaffiorata la cornice del primitivo affresco, tagliando in due la scena, ma è stata di nuovo nascosta da restauri recenti.Più o meno nello stesso periodo il Franciabigio realizzava nella parete diagonalmente opposta il Ritorno di Cicerone dall’esilio, una chiara metafora delle vicende di Cosimo il Vecchio e della sua cacciata con il successivo rientro trionfale a Firenze. Questo affresco è dominato nella parte superiore da architetture fantastiche rappresentate in un ricco paesaggio in prospettiva aerea. Anche questa scena fu ampliata dall’Allori e il confine originario si trova nascosto dall’obelisco di porfido che si erge insolitamente vicino al centro della rappresentazione fino alla sommità del dipinto. La colonna dipinta è stata in parte conservata nell’affresco, infatti l’Allori la inserì vicino all’obelisco.Alessandro Allori quindi fu colui che integrò è completò il programma decorativo del Salone, e vi lavorò tra il 1578 e il 1582, più di cinquant’anni dopo l’inizio dei lavori di decorazione degli altri pittori, su incarico di Francesco I de’ Medici, che soprattutto nella villa visse la sua relazione con la nobildonna veneziana Bianca Cappello. Oltre ad ampliare i pannelli esistenti, ne realizzò due ex novo: Siface di Numidia che riceve Scipione, dove si allude al viaggio che Lorenzo iol Magnifico compì a Napoli presso Ferdinando II d’Aragona; il Console Flaminio parla al consiglio degli Achei, in cui si sottintende all’intervento di Lorenzo il Magnifico nella Dieta di Cremona.Inoltre affrescò, con numerosi aiuti, i due riquadri sopra i portali, la seconda lunetta con il Giardino delle Esperidi e lo spazio tra le lunette e le finestre e le lunette. Le elaborate e fantastiche composizioni con figure floreali, zoomorfe e antropomorfe sono tipiche del gusto per il capriccio tipico dell’epoca.L’Allori ideò quindi una fastosa architettura in tutta la sala, che entra quasi in contrasto con l’architettura reale, con figure che paiono scolpite nei loro colori forti e cristallini tipici del manierismo, creando una scenografia fastosa e virtuosistica.Completavano la decorazione pittorica una superba serie di arazzi voluti da Cosimo I e da suo figlio Francesco, su disegno dello Stradano prima, e dell’Allori poi. Vi erano raffigurate numerose scene di caccia, ideate prendendo spunto dalle vere battute che si tenevano nell’enorme parco attorno alla villa (molto più grande di quello odierno). Non è possibile però ammirarli nel loro insieme perché la collezione è oggi dispersa tra alcuni musei fiorentini, depositi e ambasciate all’estero.